giovedì 9 ottobre 2008

Jean Jacques Bouchard su Napoli

Parlar chiatto

“ Abbiamo notato che i Napoletani sono dei gran chiacchieroni, ma che nondimeno non dicono mai niente di valido, incapaci di fare un discorso ordinato e razionale. La loro lingua riflette queste stesse caratteristiche, con un lessico copioso, più ancora del toscano, ricco di un numero infinito di termini particolari per designare ogni minima cosa; e tuttavia è pressochè impossibile fare o scrivere in questa lingua un discorso serio e che abbia ordine e filo logico, e di fatto non c'è scrittore napoletano che sappia mettere tre righe insieme senza infilarci qualche parola da taverna o da bordello: pertanto è solo su questo genere di cose che questa lingua trova la sua utilizzazione, essendo cosi stravagante e ridicola che di qualsiasi soggetto tratti suscita una generale ilarità . I Napoletani mi appaiono molto spesso privi di raziocinio, per essi vale solo l'aggredirsi a vicenda o vendicarsi a parole prima di azzuffarsi con le mani. Non son punto interessati a prevalere pacatamente con la logica sull'interlocutore, ma di ogni questione fanno un punto di onore o di disonore da vendicare con bocca o con mani. In primo luogo perchè la maggior parte delle metafore, delle allusioni, parole composte o derivate della lingua dei Napoletani son tratte dalla mangiatoria e dai bisogni corporali, dalla canzonatura e dalle ingiurie, dalla rissa e dalla lite, ed è in questi argomenti che consiste tutta la sua sapidità e veemenza, la grazia e l'abbondanza di lessico di questa lingua; ed io credo che vi siano più parole ingiuriose e di bordello che altro. Cosi abbiamo notato coi miei compagni che i Napoletani sono dediti alla bocca e al ventre, grandi sfottitori, bestemmiatori, rissosi e spacconi. Ma ciò che rende questa lingua ancor più ridicola è la pronuncia, giacché i Napoletani parlano non solamente con la lingua, ma con tutto il corpo: avanzando, indietreggiando, piegandosi come se tirassero di scherma, muovendo più spesso le braccia e le mani che la lingua, scuotendo e ruotando la testa come invasati, sbuzzando gli occhi come posseduti, gonfiando le narici, tirando la bocca indietro un buon mezzo piede; in breve non proferiscono mai parola senza usare tre organi tutti insieme, cioè la gola, al fondo della quale fanno nascere e trattengono la voce principalmente sulla 'a' in maniera che quando parlano sembra che gargarizzino”.

“Il second'organo che articolano nervosamente è il naso, in cui fanno risuonare per riflesso del fondo della gola le loro parole, sopratutto la 'o', che si compiacciono a far suonare alta,chiara, lunga ed aperta, non avendo per niente questa 'o' chiusa dei Romani: ed è principalmente da questa vocale che si riconosce un Napoletano che volesse spacciarsi per Toscano. Tirano allo stesso modo di naso, come annusando, la lettera 'n' che tanto lor piace tener nuda di vocale a inizio parola e davanti ad altra consonanate : nce, nnammurato,ngannaccato, ncrastulato, nguajato e cosi via. L'altro organo che muovono violentemente nel parlare è la bocca, o per meglio dire le labbra, tenute in dentro e aperte il più a lungo possibile per ottener quel 'parlar chiatto' come essi lo chiamano, e che è il loro vero o modo di parlare, per incuter cioè timore e zittire l'interlocutore sin dalle prime battute, il che è per loro massima soddisfazione. E' un parlar lungo , trascinato,ma forte e alto, sicchè pare che parlino sempre in falsetto, cosa abbastanza esilarante, affettando una certa raucedine nel tono della voce. La vocale che domina è la 'i', che sta davanti a tutte le 'e' lunghe, cioè accentate : piétto, miérto, liétto , Antuniéllo, ecc. e nella quale trasformano spesso la 'e', tanto all'inizo che alla fine delle parole; quando parlano veloce non vi rendete conto che delle 'i' , perche' le 'e' sono tutte come la 'e' muta della nostra lingua di Francia e cosi le parole sono tutte incatenate e sembrano una sola. La velocità di eloquio è fulminante e ho notato che più sono aggressivi, più parlano velocemente legando tutte le parole . La 'a' la tengono lunga e oscura come una 'o' quasi, la pronunciano di gola, e la 'o' la fanno risuonare alta e chiara. In breve, il loro parlare è un continuo concerto di gravi e di acuti, di 'forte' e di 'piano', di leggero e di lento, ed è sufficente sentir parlare un Napoletano adirato per farsi passar la malinconia e rider a crepapelle.”

Jean Jacques Bouchard [1606-1641]
Letterato francese ed editore A Napoli nel 1632; dal suo diario: Voyage dans le Royaume de Naples

Estratto da : Atanasio Mozzillo, Il Napoletano.

Benedetto Nardini (2) su Napoli

«Solo raccapriccio provo, a ricordare le crudeltà ignominiose commesse durante la rivoluzione [del 1799] dalla plebe napoletana.I lazzari arrostivano gli uomini nelle strade, e domandavano poi con volto penoso ai passanti elemosina per aver spiccioli con cui comprar del pane per mangiarseli arrostiti. Molti di loro portavano nelle tasche delle loro vesti stracciate dita e orecchi tagliati, e quando incontravano qualcuno che credevano partigiano del re [ ferdinando I di Borbone], gli mostravano queste spoglie con aria trionfante. Condussero un uomo nudo per le vie, e lo costrinsero a camminare curvo perché uno di questi scellerati, che era al suo fianco,cercava di tagliargli i testicoli con la sciabola.Le donne erano ancora più crudeli: bastava venir denunciato come rivoluzionario da una di queste furie per esser massacrati sul campo. Chiunque avesse capelli tagliati era perduto. Qunalcuno pensò di camuffarsi con parrucche; ma quei barbari orrendi ben presto capirono l'astuzia.Essi correvano dietro ai passanti e tiravano loro i capelli, e se restavano loro in mano , per quelli era la fine. Più di 2000 case vennero saccheggiate [le case dei nobili].Tutto ciò si fece per il re e per le Santa Fede. Per tre mesi il cardinale Ruffo devastò il paese, che pure era anche suo.»

Benedetto Nardini.
A Napoli nel 1799
da: Mes périls pendent la révolution de Naples; récit de toutes les horreurs commis par les lazzaronis.

Michel Guyot de Merville su Napoli

« A proposito di Napoli, potrei darvene un'idea esatta in due parole, dicendovi che questa città è UN PARADISO ABITATO DA' DIAVOLI.Ma la definizione, già assolutamente veritiera, vi sembrerà eccessiva. E allora ve lo dimostrerò con argomenti convincenti: il primo è che tutte le prigioni sono sempre stracolme di carcerati; il secondo è che non passa giorno in cui non si senta parlare di rapine, o di assassinii; il terzo è che non corre settimana senza che si faccia impiccare qualche Napoletano; alla piazza del Carmine, ad esempio. Ma come si potrebbe far altrimenti con un popolo che non pensa ad altro che a commettere delitti ?»

Michel Guyot de Merville [1696-1755]
A Napoli nel 1721 da: Voyage historique dans l'Italie

Carlo Antonio Pilati da Tassullo su Napoli

“ Sapete cos'è una cuccagna ? Immaginate un anfiteatro artificiale addobbato di derrate e scenografie, elevato nella piazza davanti al palazzo del re - che essi chiamano lu llario de palazzo - vacche, vitelli , montoni, maiali e cataste di pane coprono la base di questo edificio; si vedono ai lati oche, tacchini, pollastri, capponi. Tutti questi animali sono inchiodati vivi, ed è davvero uno spettacolo raccapricciante di cui io ero il solo ad esserne impressionato nel mezzo di una folla belluina e festante. Il re offre tutti gli anni, a Carnevale, una di queste cuccagne al popolo; a volte essa può esser allestita anche per grandi occasioni di celebrazione, ad esempio dopo una straordinaria carestia, o per importanti accadimenti a corte. In questi casi le cuccagne son ancora più abbondanti e terrificanti.Le due che ho visto quest'anno erano più opulente dell'ordinario: affiancate da fontane di vino, si vedevano figure di divinità pagane superbamente abbigliate; e queste divinità furono offerte al saccheggio al pari delle vacche e dei maiali. Tre ranghi di soldati a piedi a piedi e a cavallo circondavano l'edificio, per impedire al popolo di gettarsi sulle prede prima del segnale convenuto; a questo segnale - dato con sparo di cannone al mezzodì del martedi grasso - le truppe devono farsi da parte subito per restar illese, e i lazzari a migliaia in camicia e mutande corrono come indemoniati sulla cuccagna. Disgraziatamente la plebaglia, del tutto senza senno, prese per segnale quello che non era: corse prima che le truppe si fossero divaricate, queste si sforzarono di arrestare il torrente che veniva contro di loro, ma i lazzari da una parte travolsero la fanteria che si trovarono dinanzi e dall'altra si infilarono sotto i cavalli dei soldati che invano tentarono di fermarli con le sciabole senza pietà. Non potevo credere ai miei occhi.

Carlo Antonio Pilati da Tassullo [ 1733-1802]
Giurista e letterato illuminista del Trentino
A Napoli nel 1776da : Lettres des voyages écrites de l'Italie, l'Allemagne et de la Suisse - publiéés à La Haye, 1777

Marchese De Sade su Napoli

La scuola di rapina

“Il carnevale che passai a Napoli non fu certo brillante, affatto diverso dal veneziano, direi inquietante.
Vidi tuttavia abbastanza per giudicar i piaceri del popolo, ed il popolo dai suoi piaceri. Il tutto si aprì con una cosiddettacuccagna, il più barbaro spettacolo di questo mondo.
Su un grande palco, ornato con rustiche decorazioni, davanti al castello angioino o al magnifico palazzo reale, si poneva enorme quantità di viveri, disposti in modo da formar essi stessi una bizzarra decorazione. Vi sono, barbaramente crocifissi, oche, polli, tacchini, maiali, che, infissi ancora vivi a due o tre chiodi e dunque sanguinanti, divertono il popolo coi loro movimenti convulsi fino al momento in cui sarà loro concesso di andarli ad arraffare.

Pagnotte, baccalà, quarti di bue, montoni che pascolano in una parte della scena, rappresentante un campo agreste custodito da eleganti uomini di cartone, pezze di tela a formar le onde del mare, sul quale si vede un vascello carico di vettovaglie o di mobili, molto desiderati, secondo gli usi locali.

Cosi è dunque disposta l'esca apprestata, talora con certo buon gusto, per questo popolo selvaggio, per eccitarne o meglio perpetuarne la voracità e l'amore per il furto.
Poichè, dopo aver visto questo spettacolo sarebbe difficile non convenire che si tratti più di una scuola di rapina che di una vera festa. Alla vigilia, il palco, ormai già pronto, guardato da un picchetto di soldati, vien mostrato al pubblico, e tutta la città corre a guardare. Spesso la tentazione diventa cosi forte che il popolo forza la guardia e saccheggia la cuccagna prima del giorno destinato ad esser per loro stessi sacrificata. Se attende, l'indomani , due ora prima del mezzodì, che normalmente è il momento indicato per il saccheggio, la piazza si riempie di una trentina di picchetti di granatieri e di qualche distaccamento della cavalleria, per metter ordine fra la plebaglia a cui sta per esser offerta dal re la più terribile lezione di disordine. A mezzogiorno preciso tutto il popolo è in piazza, tutta la città alle finestre - giacchè di queste cose pare si riempiano qui giornate - e sovente il re stesso sta sul balcone del palazzo a godersi lo spettacolo; ecco il cannone. A questo segnale si apre il cordone dei militari; il popolo famelico si precipita e in un batter d'occhio: ogni cosa è arraffata, saccheggiata, con una frenesia impossibile da descrivere. Questa scena terrificante, che mi diede, la prima volta che la vidi, l'idea di una muta di cani aizzati alla corsa su prede, termina spesso tragicamente. Due di quegli esseri ferini lanciatisi su uno stesso quarto di bue o su un oca mezza morta non si sopportano impunemente; bisogna che se ne decida della vita dell'uno o dell'altro. Io fui testimone di un orrore che mi fece rizzar i capelli. Due uomini si attaccarono per un quarto di bue - che pure è immangiabile per un solo uomo ! - Subito salta fuori il coltello. A Napoli è l'unica risposta che si conosca ad un diverbio. Uno dei due stramazza nel suo stesso sangue. Ma il vincitore non gode a lungo della sua vittoria. I pioli sui quali si arrampica per andar ad afferrar il frutto del suo onesto delitto gli mancano sotto i piedi. Coperto per metà dal bue cascatogli addosso, cade schiacciato egli stesso sul cadavere del rivale. Feriti, morti e animali sanguinanti, diventa un tutt' uno. Non si vede più che un ammasso, quando nuovi concorrenti, approfittando della disgrazia dei due miserabili, sbrogliano il lacerto di carne dai cadaveri sotto i quali è sepolto, e l'arraffano in trionfo ancora gocciolante del sangue dei loro rivali.

Il numero degli assalitori è di solito non meno di 5-7.000 lazzaroni; è cosi che a Napoli chiamano la parte più infima di questo popolo già nel complesso pauroso.
Otto minuti sono sufficienti per distruggere l'enorme impalcatura, tale è la furia; non meno di 20 morti e decine di feriti gravi che spesso non sopravvivono, è di norma il numero degli eroi che la Vittoria lascia sul sordido campo di battaglia.

Ho trovato un solo particolare che stona col sublime orrore di questo regale spettacolo: non lasciano i morti e i feriti alla vista di tutti, distesi sui resti delle decorazioni.
Questo accorgimento, oserei dire, sarebbe magniloquente e sarebbe troppo segno del genio di questa nazione.

Normalmente, durante il carnevale si dànno quattro o cinque cuccagne di questo genere; dipende dalla durata del Carnevale prima che sia Quaresima. E' comunque uno spettacolo che si rinnova nei grandi avvenimenti. Ad esempio, un parto della regina, occasione eccellente in cui tutti i Napoletani non mancano di saccheggiare, distruggere e uccidersi per esprimere la propria gioia.

Queste feste son date dal re, ma è il popolo stesso che le paga, ed i macellai che forniscono le proprie derrate posson cosi imporre il prezzo che vogliono, speculando vergognosamente, senza che la polizia intervenga a reprimere le loro vessazioni. Il popolo affamato compera e il re fa decorare per loro; ecco spiegato anche perchè tali mostri siano cosi tenaci nel riconquistare le prede che hanno pure pagato.

Se è lecito giudicare una nazione dai suoi gusti, dalle feste,dai divertimenti, che opinione si deve avere di un popolo in cui son necessarie tali infamie ?
Si afferma a Napoli che il re, il quale naturalmente teme questo suo popolaccio feroce, ben sapendo che la sua bilancia non è in equilibrio tra l'indole rivoltosa e omicida dei sudditi e la debolezza del suo governo [ nota: qui il De Sade si riferisce a Ferdinando IV di Borbone, 1751-1825, detto il 're lazzarone', figlio di Carlo III, fondatore della dinastia e il migliore dei re di Napoli - ndr ], si ritiene obbligato a dare queste feste. Gli hanno fatto credere che avverrebbe una rivoluzione se abolisse le cuccagne, ed egli la teme. Il suo potere, la sua forza ed il suo spirito sono tali che se gli andassero a dire che il popolo vuol saccheggiare la sua reggia, si ritirerebbe per lasciarlo fare.

Donatien Alphonse François, Marchese De Sade[1740-1814]
A Napoli nel 1776
da: Voyage en Italie

Elisabetta Gonzaga su Napoli

Che popolo !

“Che popolo ! E son questi i discendenti dei Greci ? Piuttosto son prova eccellente che tutto degenera, sopratutto l'uomo. Quella loro felice organizzazione di società, quei sensi perfetti, cosi fini, cosi delicati, cosi adatti a cogliere, ad abbellire la natura, son allora divenuti cosi ottusi, laidi e grossolani ?

Le belle arti non nascono più qui; un popolo cosi degenerato, cosi degradato non può avere idee del vero bello; una indole cosi ferina non potrà servir da modello. A Roma ho visto le meraviglie dell'arte, qui riesco solo a scorgere i prodigi della natura. Essa è la sola ad agire, l'uomo cade qui in inerzia ed abominio. La sua società lo getta in una tale indolenza che forse non uscirà mai dall'apatia in cui sarà sprofondato da tempi immemorabili.
L'orgoglio che gli ispira il suo cielo, il suo clima, la sua buona tavola, il suo paese, da lui creduto il più bello e il migliore dell'universo, e la lussuria del vivere indolente che l'ha sorpreso prima della civilizzazione, l'abbagliano e gli impediscono di scorgere le tenebre della sua ignoranza, della sua selvatichezza.

Si può dire che qui l'uomo è allo stesso tempo vicinissimo e lontanissimo alla natura: barbaro e depravato. Specialmente il popolo, la natura lo ha modellato come un camaleonte: da una vivacità convulsa passa subitaneamente all'abbattimento dell'istupidimento. Esso è di volta in volta vile e temerario, semplice e furbo, superstizioso ed empio, venale, scaltro e in un certo senso indifferente a tutto. Ruba e truffa per aver di che vivere e abbandonarsi cosi a quel far niente che è la sua suprema voluttà. Sembra trovar la felicità solo nella sua inesistenza. Quanto sarebbe necessaria l'arte dell'educazione per questa gente: se si trascura il corpo esso si degrada di meno di quello che accade se si abbandona la coltura dello spirito per un sol istante. La minima negligenza gli diviene funesta. E lo vediamo in queste genti !

Napoli è bellissima, e molto interessante per le meravilgie della natura; ma l'uomo non ne è il suo capolavoro. E' un bel teatro, ma gli attori son maschere mostruose.
Qui gli abitanti stanno a testimoniare senza possibilità di smentita che il quadro più desolante, più umiliante della società è quello di una città che è allo stesso tempo nell'infanzia per la barbarie e nella vecchiaia per la corruzione; una città in cui è impossibile trovar i vantaggi della civilizzazione, allo stesso modo in cui è cancellata l'innocenza della natura . ”

Elisabetta Gonzaga
A Napoli nel 1790
da: Lettres sur l'Italie, la France et L'Allemagne pour les beaux arts, Hambourg 1797

Christopher Hervey su Napoli

Rissa di vajasse

“Il peggior baccano che si possa immaginare in una casa situata di fronte alle mie finestre, solo perchè una donna ha chiamato puttana un'altra ( qui il popolaccio dice zoccola che è grosso sorcio femmina che vive di fogna).
Non appena la parola oltraggiosa uscì dalla bocca dell'insolente, tutti i congiunti dell'innocente offesa, presenti in gran numero poichè lei era a casa sua, si gettarono su colei che l'aveva aggredita, e con poderosi e ben assestati colpi la stesero al suolo.

Ma la fortuna le venne in aiuto. Le sue grida luciferine raggiunsero le orecchie di alcune conoscenti che si trovavano a passar di lì e accorsero in sua difesa. La battaglia finì per coinvolgere tutti. Pietre e palle di fango, mazze, sputi e sangue, ovunque , su tutti e senza sosta; sembrava un girone infernale. La vittoria aleggiava sulle teste dei combattenti, incerta su dove posarsi. Ma sopravvenne un sergente con alcuni soldati mettendo immediatamente fine a quel baccano di demonii, e tutto s'acquietò. Anche le loro lingue, che prima avevano dato l'allarme con gli accenti e le urla rauche più bellicose, tacquero.

Il timore della galera sopì gli animi. Io fui cosi impressionato da tale acerba violenza per un nulla che, rinchiusa la mia finestra, esitai per un po' a riprender la mia colazione.”

Christopher Hervey
A Napoli nel 1761
da: Letters from Italy , Spain Portugal - London 1785